lunedì 3 marzo 2014

L’ipocondriaco da competizione

Ricordo che da bambino odiavo a morte le domeniche, era sempre la stessa storia… bagno, vestitino buono, messa e poi rituale visita di cortesia a quel tal parente o quell’altro.
Ed era lì che cominciava il dramma vero e proprio, dopo i mille baci e abbracci di rito a mia madre veniva il lampo di genio di fare la fatidica domanda – come stai?
E vai con una lista di improbabili malanni che non finiva mai per poi chiuderla con – …e come vuole Dio !!
(Cacchio!! E ancora lo adori? Masochista o cosa?)
Oggi, a 40 anni di distanza mi capita raramente di andare dal medico se non per qualche normalissimo disturbo o qualche certificato, ogni volta però è come se fossi uscito un attimo per rispondere al telefono, come se aprendo quella porta aprissi una sorta di varco spazio/temporale, fuori il tempo scorre normalmente, dentro lo studio sono passati solo un paio di minuti, ritrovo sempre le stesse persone con la medesima espressione da cane bastonato e con gli stessi identici discorsi.
La specie stanziale la riconosci subito, abiti mesti avvolgono un corpo già sotterrato, stanno appollaiati alle sedie senza mai appoggiare la schiena, le gambe incrociate sotto e la testa penzoloni da un lato, la mente insegue pensieri lontani e le mani stringono quasi a voler difendere la solita busta di plastica arrotolata sulle gambe, la dentro ci sono sempre le stesse cose per tutti; qualche vecchia ricetta, un paio di scatole di medicinali, un vecchio e consunto libretto della mutua e magari qualche santino che non guasta mai.
Sono del parere che al giorno d’oggi la medicina ha fatto così tanti progressi che oramai nessuno è sano, roba che se non hai nessun malanno te lo inventano loro e se proprio non ci riescono ecco i nemici, i batteri da sterminare col napisan o l’acaro da combattere con le bombe a mano.
Dal dottore è uguale, lì prendi consapevolezza che quelli non hanno nessun malanno, che sono solo dei drogati che aspettano pazientemente la loro dose quotidiana… una medicina, una qualsiasi tanto è uguale, il miracolo avviene comunque, lì vedi tutti belli soddisfatti con la loro ricetta in mano da portare in farmacia, stanno già meglio, sono già guariti, belli aitanti e pimpanti pronti per ritornare l’indomani.
Ma non è quello il nocciolo del discorso, l’ipocondria è da sempre stato uno dei pilastri portanti della nostra società consumistica, una dipendenza da cui le società farmaceutiche traggono enormi profitti.
No, non è tanto quello il nocciolo del discorso quanto quell’assurda competitività che si instaura fra gli astanti delle sale d’attesa.
Anche ad andarci in sedia a rotelle non si avrà mai nessuna patologia che non si possa curare con un semplice shampoo, e magari alla criptonite, vuoi mettere la tua sclerosi con la mia bua al dito?
Che non si risponda mai a chi ci chiede cosa abbiamo, quella non è una domanda ma una trappola, una sfida a duello dove vince chi soffre di più, chi ha subito più disgrazie in famiglia, chi può annoverare nel proprio palmares tre o quattro malattie extraterrestri.
Ti gratti una mano? Stai tranquillo che la signora sulla destra ti dirà che è lì perché sicuramente gli debbono amputare il braccio.
Ti scappa uno starnuto? Quello alla tua sinistra ti confida che potrebbe avere un tumore ai polmoni… Strano che ancora non abbia mai incontrato qualcuno con le stigmate.
- Ma signora, lo sa che ogni volta che respira muore un uomo nel mondo? - Dice che dovrei fare qualcosa per l’alito? - Ma nooo, intendevo che questa è la vita, ci si ammala e si muore in continuazione, è fisiologico, pensi che nella mia famiglia ci ammaliamo e moriamo da generazioni, ne fosse sopravvissuto uno alla vita, non per questo dobbiamo comunque vivere in funzione delle nostre malattie, non ha senso vivere una vita da malati per poi morire sani.
Orecchie da mercante… non si arrendono mica eh, allentano poco poco la presa solo quando notano sgorgare quella tua lacrimuccia di compassione.
Non puoi competere con loro, sono dei professionisti del malanno che bramano solo dolore, l’unica cosa che ti rimane da fare è quella di metterti braccia conserte e subire facendo finta di ascoltarli, che poi volendo è di gran lunga più propedeutico che leggere quel numero di “Grazia” di tre anni fa.
Sono semplicemente fantastici da seguire con le loro sublimazioni di ogni disgrazia come mezzo per raggiungere la venerazione terrena, eterni martiri che si immolano per un bene superiore, a farci caso gli compare anche l’aureola.
Li vedi quasi litigare fra loro su chi sta peggio, li segui con attenzione mentre smontano minuziosamente ogni tesi difensiva della controparte enfatizzando a loro volta il loro caso clinico più unico che raro, si prodigano in veri e propri dibattimenti degni solo di Perry Mason.
E allora ti senti una nullità, tu che non ha mia avuto nessuna di queste rarissime malattie, se mai esistesse come farai ad entrare in paradiso? Cosa scriverai nel curriculum da consegnare a San Pietro?
Nel mio scriverò FANCULO TUTTI.
Fanculo a chi è sempre alla ricerca di un nuovo sintomo da mettere sull’altare.
Fanculo a chi ritiene più importante il proprio raffreddore che la vera sofferenza di qualcun altro.
Fanculo a chi obbliga un padre di famiglia a vendersi casa e culo per far curare il figlio all’estero.

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