lunedì 3 marzo 2014

Tutte le vite che non ho vissuto

Periodicamente può succedere che il cervello emetta dei segnali d’allarme, una specie di Bip Bip tipo un radiofaro, alcune volte riusciamo a captarlo molte altre volte siamo più distratti del solito e ci sfugge. Non di rado capita che uno di quei segnali dica;


Ma io qui che cazzo ci sto a fare? Come ci sono finito?


Ti fermi un attimo, ti guardi in giro, fai una bella analisi e realizzi che è vero, ti rendi effettivamente conto che quella che stai facendo non è la tua vita, no, non è affatto la vita che ti eri immaginato, quella che ti eri prefissato o che per sommi capi avevi programmato per te, a quel punto una strana sensazione ti pervade e si amplifica in qualcosa di più tangibile, comprendi che è il grido di dolore di un’anima ferita, intrappolata in una tagliola che lì non doveva esserci, è un cocktail letale fatto di rabbia, insoddisfazione, amarezza, malinconia.


Non sono pensieri che ti entrano dentro senza preavviso, in realtà è un virus che ti porti dietro da una vita, è sempre stato lì, solo che a volte non basta trastullarsi nel ricordo di ieri per lenire il dolore di oggi, quel tipo di anestetico ogni tanto va in blocco e ti svela che quelli lì per terra non sono petali di rosa che qualcuno al tuo passaggio ha sparso in tuo onore, sono pezzi di te che hai perso per strada, sono piccoli frammenti del tuo cuore che la vita ti ha strappato a morsi.

No, la vita non era affatto un semplice corridoio che collega due stanze, alle tue spalle quella con il seggiolone e laggiù in fondo una sedia a dondolo, c’erano diramazioni e incroci, un po’ come le strade di una grande città nell’ora di punta e tu sei lì col tuo cappellino da baseball di lato sulla testa, i tuoi bei pantaloncini corti ed il preziosissimo zainetto che stai riempiendo strada facendo, sei lì praticamente smarrito e avulso con quel lontano ricordo della tua partenza e una vaga idea della tua meta. Si ma il problema rimane, come ci sono finito qui? A quale bivio non ho svoltato? Avevo una mappa? Un itinerario? Oppure ho lasciato che la folla mi spingesse nella sua direzione?

La prima cosa che istintivamente si fa è voltarsi indietro… caspita che ragnatela di strade e stradine! Plateiai e stenopoi si diramano e intersecano all’infinito e capisci solo adesso che tutti quei vicoli si andavano restringendo a imbuto man mano che ti ci addentravi, non era impossibile tornare indietro ma difficilissimo farci manovra. Per ognuna di loro c’era bisogno di una tassa di entrata, ecco… Per quella laggiù dovevo continuare gli studi, e si che a scuola ero una cima, ma come si fa a mettere un ragazzo di fronte ad un bivio? A sinistra ci sono i libri e 500 lire in tasca se non li spendi e a destra c’è un mondo pieno di vita che ti chiama a gran voce, Pinocchio ha venduto l’abbecedario per andare nel paese dei balocchi, e io che avevo meno di lui?

Per quell’altra bisognava far carriera nel lavoro, col mio caratterino ribelle e poco propenso alla sudditanza? Difficilina sta cosa anche se in effetti un lavoro stabile e soprattutto uno stipendio stabile e sicuro avrebbero potuto solo cambiare in meglio la mia vita. Per quella invece mi toccava sposare Genoveffa e per la traversa di fronte non dovevo sposarmi. Ah l’amore, quello strano sentimento che risiede fra l’esofago e la ragion pura, fatto di una materia biodegradabile che lo fa sciogliere alle prime lacrime autunnali (omissis).

Ogni singola strada principale, ogni quartiere, ogni singolo vicolo corrisponde ad una tua scelta o ad una scelta che qualcun altro ha fatto per te. Però, che strane creature siamo, imbocchiamo una nuova strada sempre con la stessa felicità ed euforia di un neonato che cerca di afferrare le farfalline che gli girano sopra la culla per poi sentirsi come un trapezista che al buio vola dall’altra parte con la speranza di trovare qualcuno che lo afferri.

Boh, col senno di poi siamo tutti grandi saggi ma sul momento chissà quali sono i meccanismi che ci portano al fare le nostre scelte di vita? Quelle che poi si ripercuoteranno sul nostro futuro e ovviamente sul futuro di chi di riflesso sarà influenzato dalle nostre scelte, gli antichi Greci ritenevano che il dio Fato era talmente potente e invincibile che anche gli dei erano alla sua mercé, ma quelle oramai sono storielle vecchie di tremila anni.

« Dite al re che sono crollate le corti sfarzose, Febo non abita più qui, non ha più lauro oracolare né sorgente che favella; l’acqua parlante si è ammutolita. »

Oddio, c’è sempre chi ancora oggi consulta la Sibilla ma oggi l’Oracolo di Delfi ha preso il nome di oroscopo, mi sono sempre chiesto come mai quel giorno che sono caduto con la mountain-bike tutti i capricorno non siano finiti all’ospedale per la stessa causa, sicuramente loro avevano letto l’oroscopo e si sono salvati, non c’è altra spiegazione.

Oggi siamo noi a creare il nostro Fatum, o meglio, principalmente noi con le nostre scelte e con il prezzo che sistematicamente diamo ad ogni nostra scelta, anche se, ahimè, spendiamo più energie nel dare un prezzo alle cose che per tentare di ottenerle, stiamo sempre lì ad affibbiare un valore a tutto, sopratutto ai sogni… magari per quelli la moneta si chiama coraggio, facciamo una stima di quel sogno e una volta stabilito valore e importanza ci accorgiamo che non abbiamo abbastanza temerarietà nel salvadanaio, facciamo spallucce e proseguiamo senza capire che potrebbe essere proprio quel sogno ad elargirci il mutuo per pagarlo, e chissà quante volte sarebbe bastato solo un piccolo obolo per imboccare una grande strada, nessuno ci ridarà tutte le vite che non abbiamo vissuto e nessuno ci perdonerà mai di non aver saputo cavalcare quel sogno.
Certo, capita anche che qualsiasi obolo versiamo quella sbarra non si alzi, se ne resta lì a precluderci il passaggio in attesa di chissà quale sacrificio o manufatto da inserire nell’incavo del muro manco fossimo Lara Croft, no, no, no, e che cazzo… vuoi una sigaretta? Bello sarebbe poter almeno vedere il trailer delle puntate successive per capire quale sarebbe la scelta di vita più giusta, ma è noto che all’inizio di ogni strada c’è solo la targa con il nome della via, nessuna posologia, nessun avvertimento sugli effetti collaterali, credo però che la cosa peggiore di tutte quando non si sa che direzione prendere sia quella di sedersi sul marciapiedi e aspettare quel qualcosa o qualcuno che ci indichi la via, magari una guida o magari quell’alba di un nuovo giorno che ci porterebbe nuova luce e nuova linfa, ma non sarebbe più semplice a quel punto andare verso est? Muoversi in direzione del sole senza aspettare che siano i suoi primi raggi ad arrivare da noi?
C’è anche da fare un’altra considerazione, non meno importante delle altre, qualcosa tipo il paradosso di Fermi con l’equazione di Drake, vabbè, lasciando perdere la fisica pura intendevo che a volte i punti segnati con la “X” sulla nostra mappa della vita risultano lontani non solo nello spazio ma anche nel tempo, quante volte si incontra la persona giusta nel momento sbagliato? E quante volte non abbiamo la maturità necessaria per sfruttare al meglio quel determinato evento?
Si sa, l’esperienza è quella cosa che si ottiene nel momento immediatamente successivo a quello in cui ti sarebbe servita, quell’insegnante crudele che prima ti fa l’esame e poi ti spiega la lezione, la vita esige audacia e occorrerebbe saper riconoscere e cogliere sempre ogni opportunità perché prima o poi passa quel tram che va nella nostra direzione ma non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare, tuttavia è solo dopo esser giunti a destinazione che la nostra vera natura si rivelerà in totum, ognuno di noi può essere un costruttore o un giardiniere, i primi passeranno anni di duro lavoro nel costruire la propria esistenza ma prima o poi ultimeranno l’edificio e se da un lato potranno godere della propria opera dall’altro se pur ben riparati da quelle quattro mura non avranno altri stimoli, diverranno dei pantofolai e di quella casa vivranno solo il divano, i giardinieri invece saranno costantemente impegnati sia nella costruzione del giardino che nel suo mantenimento, soffriranno le intemperie, subiranno pioggia vento e sole a picco, avranno costantemente delle faccende da sbrigare, l’erba che cresce, quel ramo da potare, quella pianta da concimare, saranno quotidianamente vincolati ma guadagneranno sempre una nuova primavera, godranno sempre dello sbocciare di un nuovo fiore.
La cosa fondamentale non è tanto il trovare quel giardino da progettare e accudire o quell’edificio da costruire, quel tesoro da trovare ad ogni costo si rivelerebbe sempre una pragmatica utopia, no la cosa più importante e rintracciare prima gli strumenti per scoprirlo e poi se non lo si trova pazienza, avremo almeno tentato, Katsumoto nell’ultimo samurai diceva che il fiore perfetto è una cosa rara, se si trascorresse la vita a cercarne uno non sarebbe una vita sprecata.
A conti fatti avrei potuto vivere mille vite diverse da questa ma per un milione di motivi mi ritrovo qui, e senza nessun preconcetto fatalista o determinista mi sa che sia proprio questa la migliore delle mie vite possibili, o per meglio dire, la migliore fra tutte le portate del menu, perché purtroppo il più delle volte falla come vuoi ma sempre lì vai a finire, la nostra vita dipende essenzialmente da tutti gli incroci possibili e immaginabili e da tutti gli eventi che si verificano in essa, ma capita che indipendentemente dagli eventi, dalle collisioni che il nostro Fatum subisce ci si ritroverà sempre e inevitabilmente nello stesso posto anche se da altre vie, che si riesca o meno a prendere quella metropolitana prima o poi incontreremo sempre quella stessa persona che raccoglierà quel nostro orecchino caduto in ascensore (Sliding doors), nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola.
Ora, siamo sinceri… quello che di sicuro farà la differenza per chi parte per il viaggio della vita è il tipo di calzature che si ritroverà ai piedi, se il Papy danaroso equivale ad un bel paio di pattini, un’altro sarà degli scarponcini da trekking, un’altro ancora un paio di scarpette…
Quasi quasi mi torna in mente quella pubblicità del caffè quando a farla c’era Tullio Solenghi, vi ricordate? Era in paradiso e vedeva tutti gli altri con un bel paio di ali, chiede a San Pietro (Riccardo Garrone) come averle anche lui e quest’ultimo lo indirizza all’Ufficio ali, torna con un paio di alette piccole e insignificanti e alla domanda di San Pietro; Ma come viene a volare? Risponde;
Nzommaaa volo, volo basso, radente… Pietro queste m’hanno dato.

Qualcuno ha visto le mie infradito da qualche parte? Eppure ero convinto di averle messe qui da qualche parte, e vabbè… pazienza!!

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