lunedì 3 marzo 2014

Testamento di un angelo caduto

E poi ti senti come un vecchio giocattolo, come una di quelle cose che per un qualche incomprensibile motivo ci si sente sempre in dovere di tenere un po’ da parte prima di disfarsene, relegate in un limbo antitetico giusto il tempo di disamorarsene.
Di punto in bianco ti sei ritrovato in soffitta, fra una vecchia scatola di biscotti e quel puzzle mai completato, accantonato come un brutto libro che in attesa di trovare il coraggio di buttarlo ci si limita ad esiliarlo sullo scaffale, così, tanto per fare arredamento.
Dovevi aspettartelo però, un giullare può anche dar la vita per intrattenere la corte ma pur sempre un giullare rimane e al primo sbadiglio del Re verrà prontamente rimpiazzato, esci di scena e con te se ne va anche quel poeta eternamente adombrato dal guerriero.
Adesso devi solo lasciare che quei ricordi se ne vadano via in punta di cuore anche se ti lasceranno la delusione di non essere riuscito a trovare nessuna pentola alla fine di quell’arcobaleno sintetico.
Hai concesso a quell’utopia di rapirti i sensi pur consapevole che sul lasciapassare per il mondo dei cigni non ci sarebbe mai stato scritto il tuo nome, se adesso ti ritrovi sospeso a mezz’aria fra il sogno e la follia la colpa è solo tua.
Ora che ogni illusione è stata restituita alla trasparenza capisci di non essere una stella cadente, nessun desiderio da esprimere al tuo passaggio.
Oggettivamente non sei mai stato nemmeno una luna orbitante ma un misero Icaro che ha osato volare troppo in alto, in un cielo che non gli apparteneva e che in fin dei conti gli era palesemente precluso.
Perdona la malagrazia nell’esporti il mio pensiero, mi conosci, non so fare di meglio e non so non essere schietto, decisamente pecco di eccessivo prosaicismo, riconosco i troppi aulicismi in caduta libera, ma io questo sono e proprio per questo allora mi hai cercato e trovato, proprio per questo torni sempre da me la cui più grande peculiarità è il rinfacciarti che quei “domani smetto” sono oramai diventati “ieri” da troppi anni.
Comprendo come ti senti, un delfino spiaggiato che non sa più qual è il suo tempo e il suo posto, un angelo  caduto che non riesce a capire se siano state le sue ali ad aver dimenticato come si fa a volare o se sia stato tirato giù a fucilate.
Adesso sei qui però, anche stavolta sei riuscito a ritrovare il viottolo che porta alla tua casa sull’albero, il tuo rifugio segreto al centro dei giardini di Epicuro.
Qui ci sono sempre stato io a prendermi cura di te che dai tuoi viaggi mi hai sempre riportato delle nuove ferite da curare e nuovi dolori da lenire, guarirò anche questi non temere, quello che il bruco chiama fine del mondo il resto del mondo chiama farfalla, ricordi?
Mettiamoci in cammino intanto, la tana è vicina e più triste di un sentiero senza viaggiatori c’è solo un viaggiatore senza nessun sentiero da seguire.
A farci caso stamane c’è una strana quiete che avvolge il mondo, come se si fosse dimenticato di svegliarsi, non un gallo che canti, nemmeno quel solito abbaiare di cani in lontananza, l’aria sa ancora di pioggia e l’odore di muschio si confonde con quello della terra umida, di tanto in tanto qualche timido fiore di campo si sporge fra l’erba alta come spinto da chi sa quale sconsiderata curiosità, tutto riflette di colori tanto mesti da apparire come relegato in un’aura quasi sinistra, sembra quasi che ogni cosa riesca a percepire quello che provi e che in qualche maniera voglia condividere la tua angoscia, quasi ad alleviarla facendosene anch’essa carico.
Capisco quanto sia difficile camminare con l’anima al piede ma tu stringi i denti e appoggiati pure a me, oramai hai più cerotti che cuore ma non è la prima volta che trascini a casa la ghirba e conoscendoti nemmeno l’ultima.
Fai uno sforzo amico mio, mollare qui significherebbe dargliela vinta, cerca dentro di te quel tuo insito guizzo di folle audacia e ricorda… tutto ciò a cui hai sempre anelato è dall’altra parte della paura.
No, mi sa che forse è meglio se ti adagi un po’ a quel tronco, giusto il tempo di riprendere fiato e forze, ti vedo affaticato, anche troppo e ad essere onesto non ti ho mai visto così malconcio.
Cosa ti ha ridotto così questa volta? Tu magnifico Dio pagano, il più agguerrito fra gli alunni d’Astrea, capace di scavalcare le montagne con un balzo per poi incespicare su un granello di sabbia, quale bestia immonda ha potuto mai farti questo?
Sei finalmente riuscito a trovare quel demone in grado di sconfiggerti oppure una qualche tossina agiva da tempo dentro di te?
Dovrei essere crudele con te per una volta e dirti che ti sta bene.
Fin da bambino hai sempre avuto quell’insana passione di prendere a fiondate ogni singolo Golia che ti sia capitato a tiro, quell’irragionevole frenesia di cavalcare ogni sogno pazzo, quando per salvarti ti sarebbe bastato capire che il tuo posto non era nel mondo degli uomini, non in questo mondo, non fra questi uomini.
Non ho mai avuto grandi capacità ermeneutiche ma del resto è innegabile che ogni verità non potrà mai essere assoluta ma soggettiva, per troppo tempo hai guardato il male negli occhi per non avere almeno il dubbio che anche lui abbia fatto altrettanto con te, quel male che nasce con noi ed in noi ci accompagna per la vita, solo che a volte ci capita di avvertirlo in maniera più tangibile del solito, lo percepiamo tutt’intorno facendoci sentire come intrappolati nella torre del castello, l’istinto ci obbliga alla fuga ma la ragione offuscata non sa se indirizzarci alla porta o alla finestra, in quel momento nasce l’uomo, in quel momento muore l’androide.
Tu oggi sei una persona totalmente diversa da quell’esploratore che partiva per il suo primo viaggio, ogni volta ne tornavi cambiato ma oggi sei diverso, oggi c’è un’insolita luce in fondo ai tuoi occhi, fievole ma non di meno insolita.
Dovrei essere crudele con te ma non ci riesco, invece rifletto, e riflettendo giungo alla conclusione che anche per te sia arrivato il momento di fuggire da quella perfida prigione che chiami libertà, bisogna sempre saper assegnare il giusto ruolo ad ogni sentimento perché per l’uomo la libertà sarà sempre la migliore delle sue serve ma la peggior padrona.
E’ giunto il tempo di riporre le armi, svestire i panni dell’eterno cavaliere errante e rassegnarti all’idea che in fondo anche quella di Dulcinea era una visione che non ha mai trovato riscontro nella realtà.
Hai ragione amico mio, lo capisco dallo sguardo quello che vuoi dirmi; nessun uomo si aspetta un giorno come  questo, non tutti gli uomini lo meritano, pochi di essi alla fine del loro cammino saranno riconosciuti, in verità siamo come gli abissi marini, celiamo un’infinità di tesori a chi non possiede la giusta attrezzatura per scendere a quelle profondità, tesori il cui destino è indissolubilmente legato alla determinazione degli esploratori e per questo rischiano l’oblio.
Mentre parlo mi accorgo che quei nuvoloni fino ad ora sono stati fin troppo generosi e adesso non promettono niente di buono, toccherà darci una mossa se non vogliamo bagnarci, ce la fai a rialzarti? Dai che ci sono io ad aiutarti…
Apri gli occhi pelandrone, avrai tempo e modo di riposare una volta a casa.
Amico mio svegliati dai, ma che fai? Cos’è che non capisco?
Non puoi farmi questo, non è giusto, nemmeno il tempo di riabituarmi a te e già riparti? Rimani ti supplico, da questa avventura non si torna indietro, questo è un biglietto di sola andata.
Hai speso la tua esistenza cercando di insegnare la vita e ora lasci che se ne vada via senza opporre resistenza?
Non è da te, riappropriati di quell’ultimo alito e usalo per dar battaglia, questa è l’ultima, la più importante, questa è solo tua.
Mi accorgo che non hai più le forze per combattere ed io mi ritrovo relegato al solo ruolo di spettatore inerme, sappi però che se vuoi scendere da quel tram chiamato desiderio devi prima avere la consapevolezza che affidando le pagine della tua vita in mano alla storia ne farà aeroplanini.
La vita fugge da te e tu mi rimandi un trapezio vuoto, l’acrobata questa volta ha mancato la presa, o forse si è stufato di dondolare fra la sua astrusa chimera e la crudele realtà per un pubblico distratto e annoiato.
Te ne vai lasciandomi come un naufrago senza la sua stella polare, un rapsodo totalmente inadatto al compito di tramandare quell’epos.
La grande mietitrice è discesa delicatamente su di te come una piuma persa dall’ala di un angelo, quante volte avete danzato insieme sulle note di un tango?
Eravate una bella coppia che muovendosi in perfetta sinergia disegnava l’amore negato fra luce e tenebre, il segreto stava proprio nell’equilibrio del non cedere il passo all’altro, oggi quell’equilibrio si è rotto e tu che non hai mai riconosciuto il confine tra passione e ossessione oggi hai ceduto il passo, questa volta gli applausi del pubblico andranno solo alla nera signora.
A chi andranno invece i tuoi beni immateriali? Chi verrà a pretenderne la successione?
Ci sarà da qualche parte un erede capace di raccogliere quel testimone?
A dire il vero non l’ho mai scorto, tanti effimeri seguaci ma nessun vero discepolo fra quell’infinita moltitudine di atarassici corpi disabitati, eterne crisalidi vaganti alla mercé di qualsiasi predatore del pensiero, una nuova specie che si nutre esclusivamente di un edonismo fisiologico suggerito e non innato, bislacche entità capaci di portare quello che per te è sempre stato un greve fardello; quell’insostenibile pesantezza dell’apparire così aliena all’uomo di pensiero, allo spirito libero, al rivoluzionario.
Non so proprio chi o cosa potrà mai ridestare questi abulici spiriti letargici, quale apocalittico evento ne sarebbe capace.
Ma intanto tu te ne vai e a me rimangono mille dubbi impigliati fra i pensieri.
Quale memoria si custodirà di te? Quali epiche gesta narrerà il tuo Bhagavadgita? Cosa si racconterà di te e della tua cronica inquietudine?
Temo che nulla di te sopravvivrà, i tuoi ideali, la tua irreprensibile morale libera da ogni schema prefissato, il tuo bushido, saranno spazzati via dalla prima onda come orme sulla battigia, perse per sempre come lacrime nella pioggia.
Ma va bene così, ogni civiltà è ineluttabilmente destinata all’estinzione e plausibilmente anche per questa sono arrivati i titoli di coda, tu in fondo eri solo un’inutile quanto inadeguato anticorpo incapace di assolvere il suo compito contro un virus creato per trionfare.
No, non ti sto sminuendo, non è vero che non sei mai stato all’altezza dei tuoi sogni, più semplicemente sei stato costretto a vivere dei sogni non alla tua altezza, tu che hai sempre avuto un immane coacervo di interessi e passioni tale da terrorizzare qualsiasi uomo comune, tu che di comune non hai mai avuto nulla, nemmeno la follia.
Concedimelo, un motore come il tuo poteva andare solo a follia, solo con quel tipo di carburante hai potuto navigare nell’infinito, solo quella follia ti ha permesso di approdare in quei porti dove sapevi di poter ritrovare il tuo cuore, dove sentivi che c’era qualcosa di nuovo da apprendere, dove ritrovavi sempre quella solita vecchia maledetta maestra che fin da subito e senza indugio si è presa la briga di impartirti le sue lezioni migliori.
Sei stato per tutti come un reporter di guerra, un ponte radio per chi ha saputo captare le tue frequenze, trasmettevi le tue esperienze sul campo in tempo reale man mano che le apprendevi.
Ci hai insegnato che un’anima non va incatenata ma tenuta per mano.
Ci hai fatto scoprire che il più grande dei deserti da attraversare nella vita se ne sta rintanato dentro di noi, fra il nostro io interiore e la sua sovranità.
Ci hai fatto capire che qualsiasi percorso possiamo progettare per il nostro domani arriverà sempre quel giorno in cui ci ritroveremo dispersi e costretti a ripianificare tutto.
Tutto l’oro del mondo non vale la parte peggiore di te, ma la migliore la scambierai volentieri con un sorriso.
E infine ci hai insegnato che i nostri sogni rimangono tali solo fin quando si saranno realizzati, dopodiché ci sarà sempre qualcuno disposto a portarseli via e verosimilmente sarà sempre chi ci ha aiutato a realizzarli donandoci forza e motivazioni.
Vai amico mio, di te rimarranno per sempre le orme che hai lasciato in quei cuori che ti hanno permesso di passeggiarci dentro, nei tuoi occhi non ci saranno più lacrime destinate a restarsene malinconicamente affacciate, ora sono libere.
Ora hai varcato la soglia del tempo.
Adesso sei l’infinito.

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